Le dimissioni possono essere “ordinarie” o per giusta causa. Le nuove disposizioni contenute nella Legge n 203 del 13 dicembre 2024, in vigore dal 12 gennaio 2025, disciplinano ex novo la possibilità di far presumere le dimissioni ove ci si trovi in presenza di un comportamento concludente in tal senso da parte del lavoratore.
DIMISSIONI ORDINARIE
Nel caso in cui il dipendente intenda fare cessare il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che sia in corso di regolare svolgimento, per motivi personali – per esempio perché ha reperito un’altra occupazione, perché si trasferisce in un’altra città, e così via – si è di fronte alle dimissioni ordinarie (o volontarie).
DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA
A prescindere dal fatto che si tratti di un contratto a termine oppure indeterminato, l’art 2119 del Codice civile prevede che il lavoratore possa comunicare le proprie dimissioni per giusta causa nel caso in cui si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro.
L’INPS ritiene debbano essere considerate per “giusta causa” le dimissioni determinate da:
- Mancato pagamento della retribuzione;
- Molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- Modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative
- Mobbing;
- Notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda;
- Spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” dell’art. 2103 del codice civile
- Comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.
IL LAVORATORE CHE NON SI DIMETTE E NON SI PRESENTA: LE NUOVE REGOLE
Una situazione rilevante, purtroppo di frequente accadimento, riguarda la condotta del dipendente che non si presenta al lavoro (ovviamente, senza addurre alcun valido motivo) ma neppure si dimette, ciò al non dichiarato ma evidente scopo di farsi licenziare per poter poi presentare domanda di NASpl.
In tal caso, poiché il rapporto cessa per decisione del datore – e il dipendente ha perso “involontariamente” l’occupazione – il primo è tenuto a versare il cd. contributo (o ticket) di licenziamento e il secondo gode (immeritatamente) dell’indennità di disoccupazione.
Tale questione, ossia la possibilità di addivenire alla risoluzione del rapporto per fatti concludenti da parte del/della dipendente “latitante” è divenuta finalmente realtà. Infatti nel collegato lavoro entrato in vigore lo scorso 15 gennaio si prevede che, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta:
- oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro
- o in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni (di calendario);
Il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.
Nei casi di cui sopra, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e le dimissioni sono valide anche se non presentate tramite il modulo telematico né in sede protetta.
Le nuove disposizioni non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza:
- per causa di forza maggiore;
- per fatto imputabile al datore di lavoro.
DIMISSIONI DELLA MADRE E DEL PADRE
Il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità dispone che – in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, il divieto di licenziamento – la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. Tale norma si applica anche al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.
Sia la lavoratrice che il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso.
Inoltre la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio (ossia dall’ITL): a tale convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto.
DIMISSIONI E MATRIMONIO
Le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a 1 anno dopo la celebrazione stessa sono nulle salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese all’Ispettorato Territoriale del lavoro.